LIVE OR DIE

Car flooded

Ha lasciato affogare il figlio per salvare la moglie. Il destino ha messo un signore della Nuova Zelanda di fronte a una scelta che segnerà tutta la sua esistenza: tirare fuori la donna che ha sposato o il ragazzo che ha cresciuto dalle acque del fiume in cui i due erano precipitati dopo un incidente in automobile. Una specie di gioco della torre che nessuno al mondo vorrebbe in sorte.
Era notte fonda quando Stacy Horton si è precipitato verso il fiume Whanganui dopo aver sentito la voce di sua moglie Vanessa, 35 anni, che gridava aiuto. Arrivato di corsa sulla scogliera Horton è riuscito a scorgere nell’oscurità l’amico di suo figlio e il cane di famiglia che lottavano contro la corrente per risalire a riva.

Nel frattempo le acque avevano inghiottito la station wagon della famiglia trasformandola in una trappola mortale per
Silva, 13 enne figlio di Horton, rimasto chiuso dentro all’automobile. La moglie Vanessa, 35 anni, stava affogando poco distante. L’auto era slittata sulla riva ricoperta di ciuffi d’erba e aveva fatto un volo di 10 metri dentro al fiume.

L’uomo d’istinto si è tuffato e
ha cercato di raggiungere il veicolo nuotando sott’acqua. L’auto, ha rivelato Horton al quotidiano Dominion Post, aveva il muso rivolto verso il fondale e le luci posteriori ancora accese.

“Ho cercato di raggiungerla per tirare fuori mio figlio ma non ci sono riuscito, la macchina era scesa troppo in profondità”, ha raccontato in lacrime
Horton. “Vanessa stava affogando, non ce la faceva più. Se fossi andato sotto ancora, avrei messo a repentaglio la mia vita e quella di mia moglie oltre a quella di mio figlio. Per questo ho scelto di riportare indietro Vanessa. Poi mi sono seduto a riva e mi sono rivolto a Dio. Era tutto quello che potevo fare”.

Le preghiere non hanno salvato il ragazzo. I soccorsi hanno cercato di arrivare al veicolo per estrarre
Silva ma l’acqua era troppo scura e fangosa: è stato possibile recuperare il cadavere solo la mattina successiva.

Horton non dimenticherà la giornata che ha vissuto. “Non avrei voluto di certo essere nei suoi panni, prendere la decisione che ha preso lui”, ha raccontato
Kim Perks, portavoce della polizia.

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SNEEZING GIRL




Una teenager americana è finita sui media di mezzo mondo perché da quando si è buscata un raffreddore qualche settimana fa starnutisce 12 milavolte al giorno, fino a 20 al minuto. La sindrome ha pochi precedenti e sta mettendo in crisi i dottori della ragazzina, che ha smesso di andare a scuola e ormai non può più vivere senza portarsi appresso montagne di fazzoletti di carta.

Lauren Johnson
ha 12 anni e abita in Virginia. Da quando si è presa un raffreddore qualche settimana fa, la ragazzina è entrata in un tunnel senza fine di disagi e patimenti: non riesce a smettere di starnutire se non quando dorme e fa pure fatica a mangiare.


La notizia è rimbalzata nello Stato ed è arrivata fino alla televisione Nbc: Johnson è stata invitata a partecipare al programma "Today Show", ma il racconto della sua storia è stato interrotto da un "Eeeeccciù" dietro l’altro davanti alle telecamere in studio.


"Non pensavo durasse così tanto", ha spiegato Johnson. "Non vado a scuola, non esco. Non ce la faccio più. Mi sto rovinando il naso". Un dottore che la segue pensa che si tratti di una sindrome chiamata "starnuto a mitraglia", che costringe a tenere sempre sotto mano il pacchetto di fazzoletti.


Questa specie di malattia ha cambiato la vita della famiglia. La madre di Johnson ha passato le ultime settimane a fare avanti e indietro da uno specialista all’altro: ha fatto provare alla figlia 11 terapie diverse e si è affidata persino all’ipnosi, senza riscontrare nessun miglioramento. La disperazione allora ha spinto la signora Johnson ad andare in televisione nel tentativo di mostrare all’America il caso della figlia e trovare un medico che sia in grado di curarla.


"L’esistenza di mia figlia - ha raccontato la donna - non è più la stessa. Gli starnuti non le danno tregua, riesce a fermarsi solo quando nel sonno raggiunge la fase rem". Poi ha aggiunto: "In tutto il mondo sono stati documentati al massimo 30 casi di questa sindrome. Non sappiamo che fare, nessun dottore riesce a darci una risposta".
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HITLER FOOTBALL CLUB

classroom


Adolf Hitler
sulla panchina del Borussia Dortmund. Secondo uno studio condotto in Gran Bretagna molti ragazzi iscritti alle scuole d’oltremanica ritengono che il leader della Germania nazista allenasse una squadra tedesca, che Auschwitz fosse un parco di divertimenti e che l’Olocausto segnasse la fine della seconda guerra mondiale.

La notizia, riportata dal quotidiano Bild, farà felice chi ha sempre pensato che gli studenti italiani siano i più asini d’Europa. L’associazione di veterani di guerra Erskine ha condotto uno studio su un campione di 2000 teenager della Gran Bretagna, che rivela la scarsa attenzione prestata alle lezioni di storia da molti alunni delle scuole d’oltremanica.

I risultati: a 64 anni dalla fine della seconda guerra mondiale un intervistato su 20 ha risposto che Hitler nella vita faceva l’allenatore e che l’Olocausto avesse posto fine al conflitto. Non solo: per uno su sei Auschwitz è stato un ammasso di giostre e montagne russe.

Ancora: circa il 40% non sapeva perché l’11 novembre ogni anno in Inghilterra si festeggi il Remembrance Day (giorno di commemorazione della fine del primo conflitto mondiale osservato nei paesi del Commonwealth) e ha affermato di non provare alcun interesse per le festività di celebrazione dei caduti.
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WEB REVOLUTION

Arpanet


A quarant’anni dalla nascita Internet allarga i suoi orizzonti. Secondo un portavoce di Icann, l’organizzazione no-profit che supervisiona i domini della Rete, nel giro di un anno gli indirizzi web potrebbero essere scritti anche in lingue diverse dall’inglese.

Nel linguaggio del web i domini sono le sigle che stanno dietro a qualsiasi sito, indirizzo mail o post di Twitter. I vertici Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) stanno per riunirsi a Seoul e tenere una riunione sull’argomento.

Tra le ipotesi sul tavolo circola quella di consentire agli utenti di digitare gli indirizzi web in caratteri appartenenti ad alfabeti diversi dal latino come il cirillico, l’arabo, il coreano, il greco o il giapponese.

“Questo cambiamento potrebbe essere la più grande rivoluzione che Internet abbia mai conosciuto in 40 anni”, ha detto ai giornalisti Peter Dengate Thrush, presidente del consiglio di amministrazione di Icann. “Si tratta di una nuova, complessa funzionalità del web.

Internet affonda le sue radici nel 1969 con gli esperimenti su ARPANET, una rete di computer voluta dal ministero della difesa degli Stati Uniti. Tuttavia solo a partire dai primi anni ’90 il web è uscito fuori dalla cerchia degli accademici per raggiungere il pubblico di massa.

Oggi oltre un miliardo e mezzo di persone in tutto il mondo si collegano alla Rete. Se la proposta in esame a Seoul dovesse essere applicata, Icann spalancherebbe le porte di Internet a una mole di persone rimaste finora ai margini del web.

“Più della metà degli utenti di Internet - ha spiegato Rod Beckstrom, amministratore delegato di Icann - parla una lingua scritta con caratteri diversi dall’alfabeto latino”.

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FOREVER YOUNG

Brain Activity


Non è vero che trascorrere tempo sul web è da debosciati. Secondo uno studio pubblicato qualche giorno fa negli Stati Uniti le persone avanti con gli anni che dedicano una fetta della propria giornata a girovagare nei meandri della Rete mantengono lucidità e rallentano l’invecchiamento della mente.

La notizia arriva dall’università della California, dove un gruppo di ricercatori del Semel Institute for Neuroscience and Human Behavior ha scoperto che gli adulti che amano “surfing the internet” (navigare sul web) tendono a migliorare le funzioni cerebrali dopo pochi giorni.

“Abbiamo preso - ha svelato Gary Small, uno degli autori dello studio - un campione di persone dai 55 ai 78 anni che non hanno molta dimestichezza con Internet. Abbiamo notato che dopo appena una settimana di uso del web hanno sviluppato un’intensa attività in alcune zone del cervello, in particolare nelle aree che fanno prendere le decisioni. La spiegazione è semplice: quando facciamo ricerche in Rete, prendiamo velocemente un sacco di decisioni”.

La tesi di Small ha trovato sostegno in Florida. “L’analisi conferma l’importanza dell’uso di internet anche per le persone anziane”, ha detto Paul Sanberg, direttore del Center of Excellence for Aging and Brain Repair dell’università di Tampa.

Lo studio californiano, spiegano gli esperti, non fa altro che adattare al mondo di oggi il concetto di “use it or lose it” (o lo usi o lo perdi) riferito al cervello.

“Anni fa - ha raccontato Richard Lipton, professore dell’Albert Einstein Medicine College di New York - abbiamo scoperto che le persone abituate a tenere allenata la mente con attività come fare puzzle o cruciverba, scrivere, leggere o giocare a scacchi, riescono a farla funzionare in modo più brillante e a invecchiare più lentamente”.

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KILL AND PAY

Hanging


La pena di morte costa soldi a palate agli Stati Uniti. Secondo uno studio pubblicato qualche giorno fa in America, negli Stati in cui la pena capitale è prevista dalla legge i contribuenti possono arrivare a spendere fino a 30 milioni di dollari per l’iter di ogni esecuzione, anche quando questo non è portato a termine.


In tempi di recessione economica il rapporto, intitolato “Smart on Crime” e divulgato da Death Penalty Information Center, è destinato a far discutere. “In un momento storico come questo - ha osservato Richard Dieter, direttore dell’istituto - abbiamo dubbi che qualche congresso introdurrebbe la pena capitale da zero. Si scontrerebbe con la realtà dei fatti: per ogni detenuto messo a morte il contribuente può sborsare milioni e milioni di dollari. Il procedimento che porta all’esecuzione dura anni e spesso non arriva a compimento”.


Dieter ha precisato il significato delle sue parole. “Solo un processo per la pena capitale su tre arriva a una sentenza di condanna. Questo significa una spesa per lo Stato di almeno tre milioni di dollari”. Ancora: nello studio si legge che “solo una sentenza di condanna a morte su dieci viene di fatto eseguita. Nel frattempo passano gli anni e i cittadini sborsano fino a 30 milioni di dollari”.


Il rapporto invita a riconsiderare l’efficacia deterrente della pena di morte, ammessa in 35 Stati americani su 50. Tuttavia secondo un sondaggio di una settimana fa, ricorda l’agenzia Agence France Press, il 65% degli americani ha dichiarato di essere a favore della pena capitale. Negli ultimi tempi il Colorado è andato vicino all’eliminazione della pena di morte, abolita soltanto in New Mexico a marzo.

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fotocamera ciondolo


Se stessi come film da guardare in prima serata. Una compagnia britannica ha messo a punto una macchina fotografica da portare a mò di ciondolo che permette di registrare ogni momento della propria vita per poi scaricare tutto sul computer e condividerlo con gli amici.

“ViconRevue” in origine era pensato per aiutare i malati di Alzheimer a ricordare le immagini viste durante la giornata. L’oggetto prodotto da Vicon promette ora di trasformare il consumatore in un giapponese pronto a fotografare qualsiasi cosa si muova.

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L’apparecchio farà impazzire chi considera la propria routine quotidiana come la trama di un telefilm basato su una sequela di fatti talmente unici che il prossimo non può fare a meno conoscere. L’utente diventerà un “lifelogger”, ovvero qualcuno che cerca di registrare in formato digitale più porzioni possibili della propria esitenza.

Il gingillo allacciato attorno al collo scatta automaticamente una foto ogni 30 secondi ed è dotato di accelerometro per catturare l’istantanea quando qualcuno entra all’improvviso in un ambiente. La tecnologia a infrarossi consente di rilevare il calore della persona che parla davanti alla fotocamera.

La macchina costerà poco più di 500 euro ed è dotata di un gigabyte di memoria che permette di archiviare 30 mila immagini. Chi non vede l’ora di imprigionare la vita in un Grande Fratello dovrà attendere il nuovo anno, quando il prodotto arriverà nei negozi.

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AUSCHWITZ MEMORIAL

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Amico di Auschwitz. Il museo del più conosciuto campo di concentramento aperto dalla Germania nazista lancia un profilo su Facebook e punta a raggiungere le nuove generazioni, invitandole a discutere e a lasciare commenti sull’Olocausto.

Da qualche giorno sul social network è apparso il gruppo dedicato al museo di Auschwitz. Gli utenti potranno dare un occhiata al profilo Facebook del lager polacco per dire la loro sull’argomento e imparare qualcosa in più sulla storia del campo di concentramento, dove tra il 1940 e il 1945 furono uccisi oltre un milione di ebrei.

Nei 5 anni di vita del social network centinaia di utenti hanno creato gruppi dedicati ad Auschwitz, ma nessuno di questi è riferibile al museo in Polonia. Ora che l’organizzazione dietro al lager è scesa in campo sul web, sarà possibile seguire dibattiti e approfondimenti cercando il profilo “ufficiale” con le parole chiave “Auschwitz Memorial”.

La pagina Facebook di Auschwitz è già un successo: oltre mille persone hanno deciso di seguire il gruppo al primo giorno di lancio sul social network e il numero degli iscritti sale di ora in ora. Centinaia di utenti hanno lasciato lo stesso semplice messaggio, scritto in inglese, ebraico e polacco: “Never Again” (mai più).

“Si tratta di un esperimento e devo dire che ha largamente superato le nostre aspettative”, ha raccontato all’agenzia Associated Press Pawel Sawicki, portavoce del museo. “Facebook è lo strumento che milioni di ragazzi di tutto il mondo usano per comunicare. Se vogliamo raggiungerli, dobbiamo imparare a conoscere le loro abitudini”.

Il gruppo di Auschwitz si aggiunge alle altre pagine Facebook sull’argomento. Il museo dell’Olocausto di Washington ha aperto il profilo nel 2008 e conta oltre 5.500 sostenitori. Il centro Simon Wiesenthal di Gerusalemme vanta più di 2000 iscritti su Facebook e da poco ha creato un account su Twitter.

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MANHATTAN HOME

Times Square


Chi vuol comprare casa a Manhattan si faccia avanti perchè ora conviene. Nel terzo quadrimestre del 2009 il settore immobiliare della Grande Mela si è risvegliato e i prezzi medi degli appartamenti sono calati di oltre il 10 % rispetto allo stesso periodo di un anno fa, facendo schizzare le vendite del 45% in appena quattro mesi .

Questo non vuol dire, spiegano gli esperti all’agenzia Reuters, che il settore sia uscito fuori dalla crisi. La notizia però resta una boccata d’ossigeno in mesi di recessione economica: i prezzi degli appartamenti a Manhattan erano saliti fino alla seconda metà del 2008, per poi crollare in media del 25-30% nel periodo successivo.

Nel 2008 le difficoltà dell'economia americana avevano messo in ginocchio il mercato immobiliare in molte città degli Stati Uniti, ma non a Manhattan, dove il settore aveva retto fino al collasso di Wall Street, iniziato con il fallimento della società Lehman Brothers, avvenuto a settembre.

“Da quel momento i prezzi sono scesi di 25-30 punti percentuale. In altre città il crollo è arrivato addirittura fino al 50%”, ha spiegato Jonathan Miller, presidente della società di consulenza immobiliare Miller Samuel.

Risultato: per comprare un appartamento in centro a New York ora basta sborsare in media poco più di 900.000 euro (e si risparmia il 10,6% rispetto allo stesso periodo di dodici mesi fa).

Al metro quadro una casa a Manhattan arriva sui 6800 euro, il 16,5% in meno in confronto all’anno passato.

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RESTAURANT IN YOUR LIVING ROOM

Restaurant in your living room


In Inghilterra, sulla scia di programmi tv dove i concorrenti ricevono un budget per dare cene nel proprio soggiorno e vince chi riesce ad attirare più clienti, sta spopolando il fenomeno dell’appartamento improvvisato in ristorante. Catene di amici e buongustai si danno appuntamento su blog e gruppi di Facebook, dove scambiano pareri e indicazioni riguardo alla casa dove si mangia meglio, per poi bussare alla porta altrui all’ora dei pasti.

“Restaurant in our living room” è una trasmissione di Virgin TV che sta riscuotendo successo oltremanica. Regole del gioco.

Due coppie hanno a disposizione poco più di 500 euro per comprare tutto quello che serve per imbandire la tavola e sfamare le bocche degli ospiti fino all’ammazzacaffé. Decidono i concorrenti il menù e per quante persone.

Cena o pranzo devono essere rigorosamente tenuti a casa propria: nel terrazzo, in soggiorno o in cortile. Vince la coppia con il ristorante fai-da-te che riesce a tirar su più quattrini, e non importa se le portate sono da Gambero Rosso o da buttare nella spazzatura.

Far la spesa, cucinare anche per 30 persone e poi lavare pile di piatti è una faticaccia. Pochi - vien da pensare - sarebbero disposti a farla, se non per guadagnare un bel gruzzolo di denaro o comparire davanti alla telecamera, come avviene in “Restaurant in our living room”.

La realtà non è questa. Il programma di Virgin TV ha creato nelle metropoli d’Inghilterra un sottobosco di chef amatoriali pronti a riempire il bagno di cestelli da spumante e il salotto di sedie, per poi aprire le porte della propria casa-ristorante agli sconosciuti.

Il fenomeno, spiega il quotidiano Times, ha avuto origine a Cuba e poi si è trasferito a New York. Negli ultimi mesi Londra ha visto nascere un movimento che conta centinaia di intenditori, dove si deve essere amici di amici o frequentare quel blog o quel gruppo di Facebook per apparire nella lista degli ospiti che possono presentarsi a cena in casa d’altri. I prezzi vanno da poco più di 10 (meglio non immaginare il menù), a oltre 100 euro a persona.

“Può essere stressante - spiega Ellie Grace, fondatrice del ristorante a casa “The Salad Club” a Brixton - ma alla fine della serata, quando le persone se ne vanno entusiaste e lasciano un buon voto sul web, capisci che ne è valsa la pena”.

Il segreto per far conoscere il proprio ristorante fai-da-te è scegliere un nome che rimanga in mente e che si trovi subito online.

“La difficoltà non sta nel cucinare, ma nel riuscire a riempire la sala di persone. Per questo puntiamo sul web: tutte le nostre prenotazioni arrivano da qui. Vogliamo divertirci e creare una comunità con i nostri ospiti”.

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ANAL BOMB

Bin Laden


Piazzano l’ordigno nel proprio retto per superare qualsiasi metal detector prima di suicidarsi. Al Qaeda ha messo a punto una nuova tattica per consentire ai propri kamikaze di eludere i sistemi di sicurezza: usare il proprio corpo alla stregua di un cavallo di Troia facendo passare esplosivo e detonatore attraverso l’ano.

Al Qaeda - ha rivelato la corrispondente della televisione Cbs, Sheila MacVicar - ha ideato questo stratagemma prendendo spunto dai narcotrafficanti, che da tempo nascondono la droga nelle cavità del corpo. L’organizzazione terroristica ha annunciato che a giorni condividerà sul web i dettagli della nuova tecnica per uccidere.

La notizia farà tremare i polsi agli agenti impiegati a sorvegliare le infrastrutture di mezzo mondo: non esiste al momento un sistema di controlli in grado di scoprire chi circola con una bomba nascosta nel retto. “E’uno scenario da incubo perchè non possiamo far nulla. A meno di non costringere la gente a presentarsi nuda in aeroporto”, ha spiegato Chris Yates, consulente per la sicurezza aerea. “Ad alta quota gli effetti di ordigni simili possono essere devastanti”.

In agosto Abdullah Asieri, ricercato in tutto il Medio Oriente, si era fatto esplodere nel tentativo di uccidere il principe Mohammed Bin Nayef, capo delle operazioni antiterrorismo dell’Arabia Saudita. Asieri aveva attraversato senza problemi i metal detector collocati in aeroporto e all’entrata del palazzo saudita. Il terrorista era riuscito a rimanere accanto alle guardie personali di Bin Nayef senza che nessuna di loro sospettasse qualcosa. Poi aveva convinto il principe a parlare al telefono con alcuni esponenti di Al Qaeda.

Durante la conversazione, registrata dall’organizzazione che fa capo a Bin Laden, è possibile udire un “beep” nel mezzo di due frasi identiche pronunciate da una parte e dall’altra della cornetta. Per gli esperti intervistati dalla Cbs, quel suono era un messaggio di attivare la bomba nascosta nelle viscere di Asieri.

Il terrorista dopo il beep aveva passato il telefono a Bin Nayef e 14 secondi dopo era esploso, ferendo il principe. L’attentato era fallito, ma la nuova tecnica aveva funzionato a dovere.

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NEW OIL

OilWorld

Nei mesi scorsi le scoperte di oltre 200 giacimenti in decine di paesi nel mondo hanno riacceso gli entusiasmi tra i produttori di petrolio nonostante il crollo del prezzo del barile e la crisi economica. Messe da parte le speculazioni riguardo all’esaurimento del greggio, sembra che le multinazionali oggi possano dormire sonni tranquilli perche sotto terra - in particolare sotto gli oceani - a loro dire scorrono fiumi di oro nero.

Il petrolio finirà prima o poi, su questo non ci piove. Però montagne di soldi, investite quasi dieci anni fa quando i prezzi cominciavano a salire, e tecnologie dell’ultima generazione hanno consentito agli esploratori di trivellare la superficie dei 5 continenti a profondità considerate irraggiungibili in passato, perforando rocce sempre più dure.

Il risultato è che colossi come Exxon Mobil e British Petroleum - spiega il quotidiano New York Times - ma anche pesci più piccoli come Tullow Oil hanno trovato nuovi giacimenti in Iraq, Australia, Israele, Iran, Brasile, Norvegia, Ghana, Russia e in decine di altri paesi. “Negli anni ‘90 - ricorda Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni - i prezzi erano bassi e il desiderio di aprire nuove frontiere non c’era. Oggi la scoperta più grande di tutte è la tecnologia”.


Nel solo mese di settembre British Petroleum ha affermato di aver iniziato le trivellazioni in un pozzo nel Golfo del Messico che potrebbe rivelarsi il più grande mai scoperto nella zona, mentre Andarko ha annunciato di aver messo le mani su un maxi-giacimento in Sierra Leone.


“E’ normale per le compagnie - scrive Jad Mouawad del New York Times - scoprire miliardi di nuovi barili ogni anno. Ma il 2009 sta procedendo a un passo insolitamente spedito”. I pozzi scoperti negli ultimi mesi non raggiungono le dimensioni dei giacimenti trovati negli anni ’70, della baia di Prudhoe, in Alaska, di Ekofisk, nel Mar del Nord, di Cantarell in Messico o nel 2000 di Kashagan, nel Mar Caspio. Tuttavia secondo IHS Cambridge Energy Research Associates se le scoperte dovessero susseguirsi a questi ritmi fino alla fine dell’anno, raggiungerebbero il livello più alto da dieci anni a questa parte.


La paura delle imprese per il futuro resta perché un ulteriore calo del prezzo del greggio potrebbe mettere a rischio le esplorazioni di nuovi giacimenti. Molte compagnie hanno detto di aver bisogno che il prezzo del barile si aggiri sui 60 dollari per riuscire a continuare le operazioni nelle riserve più impegnative del pianeta. La ricerca di giacimenti resta infatti un business costoso e pieno di rischi: alcuni pozzi sott’acqua possono arrivare a costare fino a 100 milioni di dollari ma al massimo nel 30-50% dei casi si finisce per portare a casa oro nero.


Se l’incertezza sulla domanda di petrolio dovesse far saltare le esplorazioni, allora sarebbero guai. “Nei prossimi anni il mondo potrebbe fare i conti - ha rivelato Christophe de Margerie, amministratore delegato di Total - con forniture sempre più scarse”.

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MUSLIM SEARCH ENGINE

ImHalal


In appena due settimane dal lancio, ImHalal.com, il primo motore di ricerca per musulmani, ha attirato oltre 500.000 utenti, diventando un fenomeno del web. Il sito contrassegna i contenuti online che possono essere considerati “haraam”, ovvero vietati, dai credenti dell’Islam

“Abbiamo creato ImHalal.com - ha spiegato al Times Reza Sardeha, responsabile del sito - per consentire ai musulmani di navigare in internet in modo sicuro e pulito”.

In realtà anche molti utenti non musulmani hanno apprezzato il motore di ricerca. “Molti di loro - prosegue Sardeha - ci hanno inviato commenti positivi. Alcuni hanno impostato ImHalal.com come homepage, per consentire ai figli di usare la Rete senza imbattersi in cose sconce”.

ImHalal.com assegna ai termini di ricerca che sono digitati dagli utenti un “livello haraam”, ovvero un grado di probabilità di incontrare contenuti proibiti secondo le leggi islamiche. Se un termine è considerato sicuro, il risultato della ricerca si apre immediatamente sotto forma di pagina web. Se invece, tanto per fare un esempio, si digita la parola “maiale”, animale che non può essere mangiato dai musulmani, ImHalal.com assegna al termine “maiale” un livello di “haraam” pari a 1. Il massimo dell’offesa è 3, raggiunto dal termine “porno”, uno dei più cliccati del web.

All’utente la scelta finale: infischiarsene dell’avvertimento e vedere i risultati lo stesso, oppure lasciar perdere la ricerca.

“Puntiamo a far diventare ImHalal.com - conclude Sardeha - uno dei primi tre motori di ricerca più usati al mondo”. Sarà un’impresa battere i colossi Google, Yahoo e Bing.

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DON'T BELIEVE THE NEWS

Mirror Hoax


Due notizie che mi sono capitate sotto mano in questi giorni la dicono lunga sul futuro dei giornali e degli altri media.

1) Secondo un sondaggio del Pew Research Center, quasi due terzi degli americani considera le notizie e le storie riportate da giornali, televisioni e radio spesso prive di accuratezza. Il livello dei credibilità dei media è il più basso mai registrato dall'istituto dal 1985, quando questo studio fu condotto per la prima volta.

Pew Research Center for the People and the Press è un think tank con sede a Washington che fornisce informazioni su questioni e tendenze destinate a incidere nella società degli Stati Uniti e non solo.

Il sondaggio non fa distinzioni tra blogger e giornalisti professionisti sotto contratto con giornali ed emittenti.

Il dato però resta: per il 63% degli oltre 1500 intervistati, le informazioni contenute nei media sono quasi sempre prive di fondamento. Di riflesso solo il 26% ritiene che le testate lavorino con l'attenzione necessaria a evitare errori quando riportano una notizia.

"Se continuano così i quotidiani e le emittenti degli Stati Uniti - ha detto senza peli sulla lingua Michael Dimock, uno dei responsabili di Pew Research Center - rischiano di allontanare quel pubblico che ora stanno cercando di trattenere con tutte le loro forze per sopravvivere alla recessione".

Bill Keller, direttore del New York Times, è andato subito al punto: "I fatti non sono controllati con l'accuratezza che richiedono. Il fiume di notizie che scorre all'ombra delle testate principali è stato inquinato da blog spazzatura, gossip, radio e televisioni partigiane che non hanno credibilità".

I numeri dei media americani riflettono questa situazione. Riassumiamoli:
  1. Giornali: -29% di inserzioni, pari a 5.5 miliardi persi nella prima metà del 2009 (dati di Newspaper Association of America)
  2. Televisioni: -12% di pubblicità, pari a quasi 3 miliardi in bruciati (dati di Television Bureau of Advertising)
  3. Radio: -23% di inserzioni, pari a 2.3 miliardi in meno (dati di Radio Advertising Bureau)

2) Rupert Murdoch, uno che sa di cosa parla in tema di media, in un articolo pubblicato dal Financial Times afferma che "non è lontano il giorno in cui la maggioranza delle persone leggerà i giornali su dispositivi elettronici portatili piuttosto che su fogli di carta ottenuti buttando giù alberi".

Per il magnate australiano al massimo entro 20 anni "lettori come il Kindle di Amazon.com e il Reader di Sony rimpiazzerano i quotidiani cartacei". Alla faccia dei romantici che dicono che i giornali di carta non moriranno mai.

"In questo modo ci sbarazzeremo per sempre di carta (per i giornali), tipografie e sindacati di tipografi. Sarà grandioso".

Non solo: Murdoch ha citato il Wall Street Journal (di cui è editore), uno dei pochi esempi di giornali che sono riusciti nell'impresa di farsi pagare per le notizie messe online senza perdere lettori. "Il Wall Street Journal a breve farà spendere ai non abbonati 2 dollari alla settimana per leggere i contenuti del giornale attraverso dispositivi mobili come un BlackBerry".
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GATHERING INFORMATION

Barack Obama

La Casa Bianca sta raccogliendo e archiviando commenti e video pubblicati nella propria pagina istituzionale in social network come Twitter, Facebook e YouTube senza dire nulla o chiedere il consenso agli utenti.

La notizia è stata rivelata dal quotidiano conservatore Washington Times, secondo il quale in questo modo “l’amministrazione Obama viene meno alla promessa di realizzare un esecutivo all’insegna della trasparenza e di proteggere la privacy sul web”.

“La Casa Bianca non è stata trasparente a sufficienza fino ad oggi, in particolar modo quando ha avuto a che fare con i nuovi social media, come in questo caso”, ha commentato Marc Rotenberg, presidente di Electronic Privacy Information Center. “In campagna elettorale Barack Obama aveva parlato di rapporti aperti e chiari con gli utenti del web e per questo dovrebbe sentirsi obbligato a dire al mondo che sta conservando questo genere di informazioni”.

I difensori della politica sui social network della Casa Bianca replicano che il Presidential Records Act, la legge che regola gli atti ufficiali del Presidente e del Vicepresidente degli Stati Uniti, prevede che l’amministrazione raccolga, attraverso l'affidamento dell'incarico ad un soggetto privato, questo genere di dati.

Nicholas Shapiro, portavoce della Casa Bianca, sì è rifiutato di rivelare quando la pratica è iniziata e quanto costa ai contribuenti l'appalto di questa attività a una impresa privata.

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