A COFFEE WITH...CLARA ROJAS

Clara Rojas


Clara Rojas ora è una donna libera, cresce finalmente il suo bambino, ha una vita da celebrità, sale da un aereo all’altro in giro per il mondo per tenere conferenze, incontrare intellettuali,uomini politici, capi di Stato e promuovere il suo primo libro, “Prigioniera”.

Fino a pochi mesi fa tutto questo non le era possibile: Clara non dimenticherà mai i sei anni trascorsi da reclusa nel cuore della giungla sudamericana quando il 23 febbraio del 2002 fu sequestrata dalle Farc, l’organizzazione paramilitare che controlla vaste zone del territorio della Colombia. Insieme a lei fu fatta prigioniera anche l’allora candidata premier Ingrid Betancourt, con cui Rojas, avvocato di 54 anni, formava il ticket per le presidenziali colombiane.

Quei mesi passati accanto a guerriglieri armati fino ai denti e a centinaia di altri prigionieri ridotti allo stremo hanno cambiato Clara per sempre: ha vissuto sulla sua pelle la disperazione, la solitudine, la privazione della libertà e della dignità umana ma, paradossalmente, anche l’evento che più di ogni altro segna una svolta nella vita delle donne: la maternità.Emmanuel è nato da una relazione che Clara ha avuto con uno dei guerriglieri colombiani e poi è stato strappato via dalla madre. Per tre anni, fino alla sua liberazione avvenuta il 23 gennaio 2008, Clara non ha saputo più nulla di Emmanuel.


Nei giornali i guerriglieri delle Farc sono ritratti come terroristi senza scrupoli, delle belve pronte a tutto che hanno perso ogni traccia di umanità. Chi sono veramente queste persone?

“Tengo subito a precisare che le Farc sono un gruppo armato e dedito alla delinquenza. Commettono reati come il sequestro, gravissimi per la persona e tutta la società. Queste persone hanno il diavolo in corpo: non credono a niente, la divisa e i kalashnikov li fanno sentire onnipotenti. Però alcuni di loro, specie quando ero incinta, hanno fatto gesti di umanità nei miei confronti che mi hanno consentito di sopravvivere. Questo non posso negarlo".

Non è facile mettersi nei panni di un ostaggio. Sei anni senza libertà possono uccidere dentro chiunque, portandolo prima alla noia e poi alla pazzia…

“I giorni non passano mai durante la prigionia. Ero passata da una vita ricca di attività a non aver niente da fare. Ho dovuto veramente ingegnarmi e sono sopravvissuta grazie a molti sforzi personali. Nella solitudine e nell’isolamento ho rafforzato la mia fede e questo mi ha dato un senso di speranza, aiutandomi ad affrontare la vita. Facevo 40 minuti di ginnastica ogni giorno, quando potevo camminavo, dipingevo, leggevo, cucivo. Se non potevo mi mettevo a pensare, a ripetere nella mente tabelline e radici quadrate. Cercavo di darmi un ritmo di vita, una routine. E’ stato fondamentale: proprio grazie a tutte queste attività quando sono stata liberata non ci ho messo molto a riadattarmi".

Lei una volta ha detto: “quando ero prigioniera leggevo qualsiasi cosa mi capitasse sotto mano, ora che sono libera e ho tutti i giornali del mondo a disposizione non leggo più come prima”.

"Non avevo nessuna risorsa lì. Quando hai un unico giornale che arriva in un anno, non stai nella pelle dalla voglia di leggerlo e lo divori. Come tutte le persone libere ora invece ho anche troppo da leggere: è una questione di scarso tempo a disposizione non di interesse che manca. In compenso durante gli anni da sequestrata ho scoperto la radio, dove ascoltavo i messaggi delle persone che premevano per la mia liberazione. La radio è stata determinante per sentirmi vicino alla mia famiglia. Prima di essere rapita non la accendevo mai, da quando sono libera invece mi sono riavvicinata a questo tipo di media".

Nel libro parla anche delle difficoltà che ha avuto nei rapporti con gli altri prigionieri.

“In un primo momento sono stata molto isolata. Dopo due anni ci hanno unito ad un altro gruppo di persone. Come scrivo nel libro, il rapporto con gli altri prigionieri era molto teso. Cerchi di capire: vivevamo pigiati come sardine, con i guerriglieri che ci sorvegliavano pronti a puntarci il fucile addosso, c’erano persone malate e io ero pure rimasta incinta. Avevamo sempre la morte dietro all’angolo e per questo avevamo tutti i nervi a fior di pelle. Ognuno di noi doveva fare un grande sforzo personale, ce la mettevamo tutta per non scannarci tra di noi e per sopravvivere al dolore. Ringrazio Dio di essere ancora viva".

Ingrid Betancourt non era religiosa ma si è avvicinata alla fede quando il Papa ha fatto un appello per la sua liberazione chiamandola per nome. Clara Rojas invece ha sempre creduto profondamente in Dio.

"Penso che la fede sia una questione personale e basta. Io nel libro ho solo cercato di raccontare la mia esperienza. Nell’isolamento ho irrobustito la mia fede, che non è mai crollata. Nemmeno quando ho saputo di essere incinta mentre ero tenuta in ostaggio da una organizzazione armata nel cuore della giungla colombiana".

Clara Rojas & Ingrid Betancourt


Sei anni non sono un periodo da niente, considerando il poco tempo che ci è concesso di stare al mondo. Quando è stata liberata che cambiamenti ha notato nella società e nelle persone?

“Tutto è cambiato radicalmente. In Colombia come negli altri paesi ci sono stati progressi. Nelle città sono stati costruiti talmente tanti centri commerciali che non sono ancora riuscita a vederli tutti. Mi aspettavo i cambiamenti della tecnologia, in particolare di telefoni e pc portatili. Ma soprattutto sono cambiate le persone: la mia vicenda personale non è stata seguita con indifferenza, il sequestro è un tema che è entrato ovunque nel cuore della gente. Ogni essere umano capisce che quando una persona è sequestrata non soffre solo lei o la sua famiglia, ma un’intera società. Ho visto un cambiamento importante, una nuova sensibilità diffusa su questo problema, anche perché non dimentichiamoci che le Farc tengono tuttora in ostaggio centinaia di persone".

Siamo giornalisti e spesso siamo costretti a fare domande scontate. Cosa ha provato quando ha rivisto Emmanuel dopo tre anni senza avere sue notizie?

“Incontrare mio figlio è stato meraviglioso. Quando sono tornata ho chiesto a Dio di darmi la serenità e il controllo necessario a ritrovare il mio bambino. Prima di vederlo mi hanno mostrato i disegni e le cose che aveva fatto quando viveva nell’orfanotrofio. Mi hanno dato informazioni su di lui, perché io non ne avevo più saputo nulla. Emmanuel sapeva certe cose su di me e ha assistito in diretta tv alla mia liberazione. Quando l’ho visto ha camminato verso di me, ci siamo abbracciati e mi ha chiamato “mamma”. Ho ringraziato Dio per avermi dato questa gioia e per essere oggi io e mio figlio in condizioni accettabili".

In Colombia il presidente Uribe sta per prendere il potere per la terza volta. Alcuni commentatori hanno scritto che il mondo parla poco di lui perché è un alleato degli Stati Uniti.

“Io sono avvocato e sono cresciuta nel rispetto della legge. Per me democrazia vuol dire alternanza del potere. Uribe è al governo da 8 anni e ha fatto tante cose, che in parte condivido. Però ritengo l’alternanza democratica un valore fondamentale: deve essere sempre e solo il popolo colombiano a decidere chi sale al potere in Colombia".

L’ultima domanda, me ne rendo conto, è molto personale ma mi sento di fargliela. Lei è riuscita a mettere al mondo un figlio in mezzo alla giungla con un uomo che faceva parte di una organizzazione che l’ha sequestrata. Come è riuscita a non provare repulsione per lui, a concedere se stessa a un guerrigliero?

"Non ho mai rivelato l’identità del padre di mio figlio e nulla dirò su questo argomento. Questo fa parte della mia vita privata e di quella di Emmanuel, che devo tutelare".

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