Il risultato è che colossi come Exxon Mobil e British Petroleum - spiega il quotidiano New York Times - ma anche pesci più piccoli come Tullow Oil hanno trovato nuovi giacimenti in Iraq, Australia, Israele, Iran, Brasile, Norvegia, Ghana, Russia e in decine di altri paesi. “Negli anni ‘90 - ricorda Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni - i prezzi erano bassi e il desiderio di aprire nuove frontiere non c’era. Oggi la scoperta più grande di tutte è la tecnologia”.
Nel solo mese di settembre British Petroleum ha affermato di aver iniziato le trivellazioni in un pozzo nel Golfo del Messico che potrebbe rivelarsi il più grande mai scoperto nella zona, mentre Andarko ha annunciato di aver messo le mani su un maxi-giacimento in Sierra Leone.
“E’ normale per le compagnie - scrive Jad Mouawad del New York Times - scoprire miliardi di nuovi barili ogni anno. Ma il 2009 sta procedendo a un passo insolitamente spedito”. I pozzi scoperti negli ultimi mesi non raggiungono le dimensioni dei giacimenti trovati negli anni ’70, della baia di Prudhoe, in Alaska, di Ekofisk, nel Mar del Nord, di Cantarell in Messico o nel 2000 di Kashagan, nel Mar Caspio. Tuttavia secondo IHS Cambridge Energy Research Associates se le scoperte dovessero susseguirsi a questi ritmi fino alla fine dell’anno, raggiungerebbero il livello più alto da dieci anni a questa parte.
La paura delle imprese per il futuro resta perché un ulteriore calo del prezzo del greggio potrebbe mettere a rischio le esplorazioni di nuovi giacimenti. Molte compagnie hanno detto di aver bisogno che il prezzo del barile si aggiri sui 60 dollari per riuscire a continuare le operazioni nelle riserve più impegnative del pianeta. La ricerca di giacimenti resta infatti un business costoso e pieno di rischi: alcuni pozzi sott’acqua possono arrivare a costare fino a 100 milioni di dollari ma al massimo nel 30-50% dei casi si finisce per portare a casa oro nero.
Se l’incertezza sulla domanda di petrolio dovesse far saltare le esplorazioni, allora sarebbero guai. “Nei prossimi anni il mondo potrebbe fare i conti - ha rivelato Christophe de Margerie, amministratore delegato di Total - con forniture sempre più scarse”.
In appena due settimane dal lancio, ImHalal.com, il primo motore di ricerca per musulmani, ha attirato oltre 500.000 utenti, diventando un fenomeno del web. Il sito contrassegna i contenuti online che possono essere considerati “haraam”, ovvero vietati, dai credenti dell’Islam
“Abbiamo creato ImHalal.com - ha spiegato al Times Reza Sardeha, responsabile del sito - per consentire ai musulmani di navigare in internet in modo sicuro e pulito”.
In realtà anche molti utenti non musulmani hanno apprezzato il motore di ricerca. “Molti di loro - prosegue Sardeha - ci hanno inviato commenti positivi. Alcuni hanno impostato ImHalal.com come homepage, per consentire ai figli di usare la Rete senza imbattersi in cose sconce”.
ImHalal.com assegna ai termini di ricerca che sono digitati dagli utenti un “livello haraam”, ovvero un grado di probabilità di incontrare contenuti proibiti secondo le leggi islamiche. Se un termine è considerato sicuro, il risultato della ricerca si apre immediatamente sotto forma di pagina web. Se invece, tanto per fare un esempio, si digita la parola “maiale”, animale che non può essere mangiato dai musulmani, ImHalal.com assegna al termine “maiale” un livello di “haraam” pari a 1. Il massimo dell’offesa è 3, raggiunto dal termine “porno”, uno dei più cliccati del web.
All’utente la scelta finale: infischiarsene dell’avvertimento e vedere i risultati lo stesso, oppure lasciar perdere la ricerca.
“Puntiamo a far diventare ImHalal.com - conclude Sardeha - uno dei primi tre motori di ricerca più usati al mondo”. Sarà un’impresa battere i colossi Google, Yahoo e Bing.
Due notizie che mi sono capitate sotto mano in questi giorni la dicono lunga sul futuro dei giornali e degli altri media.
1) Secondo un sondaggio del Pew Research Center, quasi due terzi degli americani considera le notizie e le storie riportate da giornali, televisioni e radio spesso prive di accuratezza. Il livello dei credibilità dei media è il più basso mai registrato dall'istituto dal 1985, quando questo studio fu condotto per la prima volta.
Pew Research Center for the People and the Press è un think tank con sede a Washington che fornisce informazioni su questioni e tendenze destinate a incidere nella società degli Stati Uniti e non solo.
Il sondaggio non fa distinzioni tra blogger e giornalisti professionisti sotto contratto con giornali ed emittenti.
Il dato però resta: per il 63% degli oltre 1500 intervistati, le informazioni contenute nei media sono quasi sempre prive di fondamento. Di riflesso solo il 26% ritiene che le testate lavorino con l'attenzione necessaria a evitare errori quando riportano una notizia.
"Se continuano così i quotidiani e le emittenti degli Stati Uniti - ha detto senza peli sulla lingua Michael Dimock, uno dei responsabili di Pew Research Center - rischiano di allontanare quel pubblico che ora stanno cercando di trattenere con tutte le loro forze per sopravvivere alla recessione".
Bill Keller, direttore del New York Times, è andato subito al punto: "I fatti non sono controllati con l'accuratezza che richiedono. Il fiume di notizie che scorre all'ombra delle testate principali è stato inquinato da blog spazzatura, gossip, radio e televisioni partigiane che non hanno credibilità".
I numeri dei media americani riflettono questa situazione. Riassumiamoli:
- Giornali: -29% di inserzioni, pari a 5.5 miliardi persi nella prima metà del 2009 (dati di Newspaper Association of America)
- Televisioni: -12% di pubblicità, pari a quasi 3 miliardi in bruciati (dati di Television Bureau of Advertising)
- Radio: -23% di inserzioni, pari a 2.3 miliardi in meno (dati di Radio Advertising Bureau)
2) Rupert Murdoch, uno che sa di cosa parla in tema di media, in un articolo pubblicato dal Financial Times afferma che "non è lontano il giorno in cui la maggioranza delle persone leggerà i giornali su dispositivi elettronici portatili piuttosto che su fogli di carta ottenuti buttando giù alberi".
Per il magnate australiano al massimo entro 20 anni "lettori come il Kindle di Amazon.com e il Reader di Sony rimpiazzerano i quotidiani cartacei". Alla faccia dei romantici che dicono che i giornali di carta non moriranno mai.
"In questo modo ci sbarazzeremo per sempre di carta (per i giornali), tipografie e sindacati di tipografi. Sarà grandioso".
Non solo: Murdoch ha citato il Wall Street Journal (di cui è editore), uno dei pochi esempi di giornali che sono riusciti nell'impresa di farsi pagare per le notizie messe online senza perdere lettori. "Il Wall Street Journal a breve farà spendere ai non abbonati 2 dollari alla settimana per leggere i contenuti del giornale attraverso dispositivi mobili come un BlackBerry".
La Casa Bianca sta raccogliendo e archiviando commenti e video pubblicati nella propria pagina istituzionale in social network come Twitter, Facebook e YouTube senza dire nulla o chiedere il consenso agli utenti.
La notizia è stata rivelata dal quotidiano conservatore Washington Times, secondo il quale in questo modo “l’amministrazione Obama viene meno alla promessa di realizzare un esecutivo all’insegna della trasparenza e di proteggere la privacy sul web”.
“La Casa Bianca non è stata trasparente a sufficienza fino ad oggi, in particolar modo quando ha avuto a che fare con i nuovi social media, come in questo caso”, ha commentato Marc Rotenberg, presidente di Electronic Privacy Information Center. “In campagna elettorale Barack Obama aveva parlato di rapporti aperti e chiari con gli utenti del web e per questo dovrebbe sentirsi obbligato a dire al mondo che sta conservando questo genere di informazioni”.
I difensori della politica sui social network della Casa Bianca replicano che il Presidential Records Act, la legge che regola gli atti ufficiali del Presidente e del Vicepresidente degli Stati Uniti, prevede che l’amministrazione raccolga, attraverso l'affidamento dell'incarico ad un soggetto privato, questo genere di dati.
Nicholas Shapiro, portavoce della Casa Bianca, sì è rifiutato di rivelare quando la pratica è iniziata e quanto costa ai contribuenti l'appalto di questa attività a una impresa privata.
Il video, apparso su YouTube, di un 17enne dell'Illinois picchiato selvaggiamente da due compagni in fondo allo scuola bus mentre alcuni ragazzi guardano la scena ridendo e scherzando, sta mettendo sotto shock gli Stati Uniti. Nel filmato, rilasciato dalla polizia di Belville e già comparso su siti apprezzati negli Usa come Drudge Report, un ragazzo bianco di 17 anni viene preso a pugni da alcuni ragazzi di colore.
Secondo la polizia il motivo dell'aggressione potrebbe essere razziale: nel video sembra che la vittima non faccia alcunchè per provocare gli altri due e cerchi solo di difendersi. Il 17enne, spiega la polizia, stava cercando un posto dove sedersi quando due studenti gli hanno detto che non poteva stare vicino a loro. Quando il ragazzo si è seduto, sono volate le botte.
La notizia è da far cadere le braccia: secondo il quotidiano Guardian gli stipendi base dei dirigenti delle più grandi imprese britanniche sono aumentati del 10% nel 2008, anno in cui la finanza ha navigato a vista travolta dalla bufera della recessione economica.
Nonostante la crisi che ha fatto perdere alle imprese del mondo almeno un terzo del loro valore, nonostante i migliaia di posti di lavoro bruciati ovunque, nonostante le promesse di autoridursi i salari, gli uomini d’affari delle società che contano nella City di Londra alla fine dei giochi continuano a guadagnare come sceicchi.
La ricerca pubblicata dal Guardian ha preso in esame le buste paga dei membri dei consigli d’amministrazione delle 100 società incluse nell’indice Financial Times Stock Exchange (FTSE), ovvero la “premier league del mondo degli affari britannico”.
I manager - si legge nella ricerca - hanno ricevuto bonus complessivamente inferiori, ma hanno beneficiato di salari base più alti, con aumenti quasi del 10%, mentre gli stipendi dei comuni mortali nel settore privato sono saliti in media del 3,1%. “Tutto questo - scrive il Guardian - è avvenuto quando molte compagnie stavano congelando gli stipendi al personale e avviando programmi di licenziamenti per ridurre i costi”.
Non solo, i dati rivelano che i 10 uomini d’affari più pagati delle corporation, sguazzano sempre più nell’oro: questa elite di nababbi lo scorso anno ha portato a casa 170 milioni di steriline in stipendi complessivi, quando nel 2007 il gruzzolo ammontava a 140 milioni e cinque anni fa “solo” a 70 milioni.
Tuttavia se si prendono in esame le buste paga, questi signori d’oltremanica guadagnano oggi il 5% in meno rispetto a dodici mesi fa perché i bonus che percepivano sono diminuiti. Verrebbe quasi da dire: poverini.
La realtà non è così: la paga base di un dirigente di una società che emette titoli di alto valore si aggira mediamente oggi a 791 mila sterline all’anno. Se però si aggiungono bonus e benefits vari (che spaziano da macchina e autista pagati dall’azienda a sconti dal dentista e sulle rette scolastiche per i figli), l’intera busta paga sale a dismisura:
“Nel 2008 - scrive il Guardian – circa un quarto dei dirigenti che fanno parte dell’indice FTSE100 hanno avuto stipendi in eccesso di 5 milioni di sterline e oltre 22 dirigenti hanno salari base più alti di un milione”.
Clara Rojas ora è una donna libera, cresce finalmente il suo bambino, ha una vita da celebrità, sale da un aereo all’altro in giro per il mondo per tenere conferenze, incontrare intellettuali,uomini politici, capi di Stato e promuovere il suo primo libro, “Prigioniera”.
Fino a pochi mesi fa tutto questo non le era possibile: Clara non dimenticherà mai i sei anni trascorsi da reclusa nel cuore della giungla sudamericana quando il 23 febbraio del 2002 fu sequestrata dalle Farc, l’organizzazione paramilitare che controlla vaste zone del territorio della Colombia. Insieme a lei fu fatta prigioniera anche l’allora candidata premier Ingrid Betancourt, con cui Rojas, avvocato di 54 anni, formava il ticket per le presidenziali colombiane.
Quei mesi passati accanto a guerriglieri armati fino ai denti e a centinaia di altri prigionieri ridotti allo stremo hanno cambiato Clara per sempre: ha vissuto sulla sua pelle la disperazione, la solitudine, la privazione della libertà e della dignità umana ma, paradossalmente, anche l’evento che più di ogni altro segna una svolta nella vita delle donne: la maternità.Emmanuel è nato da una relazione che Clara ha avuto con uno dei guerriglieri colombiani e poi è stato strappato via dalla madre. Per tre anni, fino alla sua liberazione avvenuta il 23 gennaio 2008, Clara non ha saputo più nulla di Emmanuel.
Nei giornali i guerriglieri delle Farc sono ritratti come terroristi senza scrupoli, delle belve pronte a tutto che hanno perso ogni traccia di umanità. Chi sono veramente queste persone?
“Tengo subito a precisare che le Farc sono un gruppo armato e dedito alla delinquenza. Commettono reati come il sequestro, gravissimi per la persona e tutta la società. Queste persone hanno il diavolo in corpo: non credono a niente, la divisa e i kalashnikov li fanno sentire onnipotenti. Però alcuni di loro, specie quando ero incinta, hanno fatto gesti di umanità nei miei confronti che mi hanno consentito di sopravvivere. Questo non posso negarlo".
Non è facile mettersi nei panni di un ostaggio. Sei anni senza libertà possono uccidere dentro chiunque, portandolo prima alla noia e poi alla pazzia…
“I giorni non passano mai durante la prigionia. Ero passata da una vita ricca di attività a non aver niente da fare. Ho dovuto veramente ingegnarmi e sono sopravvissuta grazie a molti sforzi personali. Nella solitudine e nell’isolamento ho rafforzato la mia fede e questo mi ha dato un senso di speranza, aiutandomi ad affrontare la vita. Facevo 40 minuti di ginnastica ogni giorno, quando potevo camminavo, dipingevo, leggevo, cucivo. Se non potevo mi mettevo a pensare, a ripetere nella mente tabelline e radici quadrate. Cercavo di darmi un ritmo di vita, una routine. E’ stato fondamentale: proprio grazie a tutte queste attività quando sono stata liberata non ci ho messo molto a riadattarmi".
“In un primo momento sono stata molto isolata. Dopo due anni ci hanno unito ad un altro gruppo di persone. Come scrivo nel libro, il rapporto con gli altri prigionieri era molto teso. Cerchi di capire: vivevamo pigiati come sardine, con i guerriglieri che ci sorvegliavano pronti a puntarci il fucile addosso, c’erano persone malate e io ero pure rimasta incinta. Avevamo sempre la morte dietro all’angolo e per questo avevamo tutti i nervi a fior di pelle. Ognuno di noi doveva fare un grande sforzo personale, ce la mettevamo tutta per non scannarci tra di noi e per sopravvivere al dolore. Ringrazio Dio di essere ancora viva".
Ingrid Betancourt non era religiosa ma si è avvicinata alla fede quando il Papa ha fatto un appello per la sua liberazione chiamandola per nome. Clara Rojas invece ha sempre creduto profondamente in Dio.
Sei anni non sono un periodo da niente, considerando il poco tempo che ci è concesso di stare al mondo. Quando è stata liberata che cambiamenti ha notato nella società e nelle persone?
“Tutto è cambiato radicalmente. In Colombia come negli altri paesi ci sono stati progressi. Nelle città sono stati costruiti talmente tanti centri commerciali che non sono ancora riuscita a vederli tutti. Mi aspettavo i cambiamenti della tecnologia, in particolare di telefoni e pc portatili. Ma soprattutto sono cambiate le persone: la mia vicenda personale non è stata seguita con indifferenza, il sequestro è un tema che è entrato ovunque nel cuore della gente. Ogni essere umano capisce che quando una persona è sequestrata non soffre solo lei o la sua famiglia, ma un’intera società. Ho visto un cambiamento importante, una nuova sensibilità diffusa su questo problema, anche perché non dimentichiamoci che le Farc tengono tuttora in ostaggio centinaia di persone".
Siamo giornalisti e spesso siamo costretti a fare domande scontate. Cosa ha provato quando ha rivisto Emmanuel dopo tre anni senza avere sue notizie?
In Colombia il presidente Uribe sta per prendere il potere per la terza volta. Alcuni commentatori hanno scritto che il mondo parla poco di lui perché è un alleato degli Stati Uniti.
Crisi o non crisi le armi si vendono sempre come il pane. A quanto pare in questo tipo di affari pochi possono darci lezioni: l’Italia, secondo un rapporto bipartisan del Congressional Research Service – una divisione della biblioteca del Congresso degli Stati Uniti – nel 2008 è stato il secondo paese al mondo che ha guadagnato di più dal commercio di armi all’estero: con 3,7 miliardi di dollari ricavati abbiamo battuto persino giganti come Russia, Cina e Francia.
Una montagna di miliardi ci separa dal primo esportatore mondiale: gli Stati Uniti che, si legge nel rapporto pubblicato ieri in prima pagina dal quotidiano americano New York Times, con 37,8 miliardi di dollari incassati lo scorso anno (oltre 12 miliardi in più rispetto al 2007) detengono il primato indiscusso negli introiti derivanti dalla fornitura di armamenti fuori dai confini nazionali.
Nel 2008 le vendite di armi nel mondo sono state valutate 55,2 miliardi di dollari, ovvero il 7,6% in meno rispetto al 2007.
“Il commercio globale di armi è complessivamente sceso nel 2008 perché - fa notare Richard F. Grimmett, uno degli autori dello studio americano – la recessione economica ha costretto molti paesi a ridurre le ordinazioni”.
Nonostante la crisi eppure gli Stati Uniti hanno aumentato il loro business nel settore finendo per avere in mano il 68,4% del commercio mondiale.
Questo perché, fa notare il New York Times, gli Usa hanno beneficiato di maggiori richieste provenienti dal vicino Oriente e dall’Asia e di contratti già stipulati negli anni precedenti con clienti in giro per il mondo che necessitano di assistenza e attrezzature.
Un gruppo di ricercatori israeliani sostiene di aver sviluppato un programma per computer in grado di decifrare testi antichi fino ad oggi considerati illeggibili. La scoperta, osserva l’agenzia Reuters, potrebbe segnare un progresso nell’archeologia e aprire la strada a una sorta di motore di ricerca in stile Google per documenti storici.
Il software messo a punto dal team israeliano è basato su un algoritmo simile a quelli utilizzati dai programmi che si trovano nei computer delle forze dell’ordine per identificare e comparare le impronte digitali. L’obiettivo del team dell’Università Ben-Gurion del Negev è scoprire il significato di lettere e parole, anche scritte a mano, impresse in manoscritti facendo risparmiare agli studiosi ore e ore di studio per ogni documento.
“Con l’algoritmo che abbiamo elaborato il computer può ricreare con accuratezza porzioni di testo andate perdute con il passare dei secoli”, ha detto Itay Bar-Yosef, uno dei ricercatori coinvolti nel progetto. “Più testi il programma analizza, più diventa veloce e accurato”, ha aggiunto.
Il computer esamina copie digitali dei manoscritti, assegnando valori numerici a ogni pixel di scrittura, a seconda di quanto è scuro. Separa gli scritti dallo sfondo e poi identifica linee, lettere e parole. Il programma riesce ad analizzare gli le scritture fatte a mano e lo stile: in questo modo è in grado di inserire le porzioni di testo mancanti in documenti sbiaditi dal tempo.
Secondo i ricercatori, che finora hanno lavorato in prevalenza su testi ebraici antichi, il programma potrebbe essere pronto per gli addetti ai lavori nel giro di due anni. In un’epoca in cui le biblioteche di tutto il mondo acconsentono alla creazione di copie digitali dei volumi che ospitano, il software israeliano potrebbe spingere colossi come Google o Microsoft a sviluppare un motore di ricerca per testi antichi.
Le piantagioni illegali di marijuana negli ultimi 15 anni sono aumentate in tutto il territorio degli Stati Uniti, sottraendo migliaia di ettari di terreno coperto da foreste protette dalle leggi americane.
La ragione, svela il quotidiano Wall Street Journal, sta nell’impennata del numero di ingressi dalla frontiera sud degli Usa di coltivatori ritenuti vicini ai cartelli della droga messicani.
Quest’anno le autorità americane hanno trovato piantagioni di erba in 61 foreste nazionali all’interno di 16 Stati. Nel 2008 il business della marijuana aveva coinvolto 49 foreste in 10 Stati.
Dall’inizio dell’anno gli agenti federali hanno scoperto 487 piantagioni di erba, distrutto oltre 2,6 milioni di piantine di marijuana, sequestrato 138 armi da fuoco e arrestato 369 persone.
Secondo la polizia le attività che danno più frutti sono controllate dai narcotrafficanti messicani, che hanno creato reti per distribuire droga in più di 200 città degli Stati Uniti.
”Abbiamo rintracciato giri di denaro, contatti e network provenienti dai nemici dei nostri agenti al di là della frontiera con il Messico”, ha detto Jeff Sweetin, membro dello staff antidroga nella regione delle Montagne Rocciose.
Negli ultimi mesi i coltivatori di marijuana hanno radicato i loro affari su suoli pubblici in Wisconsin, Michigan, Alabama e Virginia. Lo scorso luglio nella Pike National Forest, in Colorado, le autorità hanno sequestrato oltre 51.000 piantine.
Attività illecite a parte, i coltivatori minacciano l’integrità dei polmoni verdi dell’America perché quando lasciano gli accampamenti abbandonano serbatoi di propano,rifiuti infiammabili e stufe. Le autorità forestali ritengono che la pericolosità di campi simili possa causare incendi come quello che ha bruciato il mese scorso quasi oltre 35 mila ettari di terreno della Lost Padres National Forest, in California.
I coltivatori di marijuana disboscano foreste per liberare terreno fertile a migliaia di piantine. Utilizzano pesticidi e diserbanti spesso vietati dalle leggi degli Stati Uniti. Costruiscono dighe, deviano ruscelli e irrigano i suoli con miglia e miglia di tubi in PVC. Ogni piantagione è strettamente sorvegliata 24 ore su 24 da guardie dotate di fucili d’assalto, visori notturni, walkie talkie e radio per intercettare le conversazioni delle autorità.
In alcune zone degli Usa le autorità a corto di risosrse non riescono più a dare la caccia ai sospetti. “Nella regione delle Montagne Rocciose – spiega Sweetin – possiamo solo sradicare le piantine di marijuana quando troviamo i coltivatori e sperare che non tornino più”.
La distrazione dei parlamentari seduti in aula a legiferare non è un fenomeno di casa solo in Italia. Una foto che riprende due membri del partito democratico del Connecticut intenti a fare un solitario sul laptop proprio mentre il leader di minoranza della Camera del piccolo stato del New England sta parlando in piedi alla loro destra, sta impazzando per il web creando ironie e malumori.
Lo scatto, opera di Jessica Hill dell’Associated Press, è già una pietra miliare della Rete e mostra la soluzione che hanno trovato i due legislatori per non annoiarsi troppo nel bel mezzo del della discussione in aula sulla finanziaria del Connecticut.
Alla sinistra appare la democratica Barbara Lambert, eletta per la prima volta nel 2008, impegnata in una partita al solitario Spider. Alla sua destra il democratico Jack Hennessy gioca invece al solitario tradizionale.
Durante le lunghe sessioni per approvare leggi ed emendamenti al Congresso dello Stato, capita spesso che i politici tirino fuori i laptop per rispondere a e-mail o cercare informazioni utili ai disegni di legge in discussione in aula. Altre volte invece si mettono semplicemente a giocare a carte.