"Convinto di poter esercitare la leadership americana solo costruendo alleanze, impegnato a tentare il dialogo con i più acerrimi avversari dell'America, sicuro di poter rilanciare la crescita globale grazie a un modello energetico basato sulle fonti rinnovabili e interprete di un'identità postmoderna che va oltre i confini etnici e razziali, Barack Obama è protagonista di una scommessa politica che va oltre i confini degli Stati Uniti ma può essere vinta solo se verrà condivisa da coloro ai quali lui tende la mano. La maggior forza del "progetto Obama" è anche il suo evidente tallone d'Achille: il presidente, che rischia il prestigio della nazione più potente del pianeta nella "trasformazione del mondo", va incontro a una inesorabile sconfitta se non troverà partner e interlocutori pronti a raccogliere la sua sfida. Il vero pericolo per Obama è restare solo, apprezzato ma isolato"
Il passaggio è tratto dal "Paese di Obama - Come è cambiata l'america", l'ultimo lavoro di Maurizio Molinari, corrispondente della Stampa negli Stati Uniti. Sono le frasi che più mi sono rimaste in mente di tutto il libro. Il problema è che si trovano all'ultima pagina.
Premessa: Molinari scrive che è un piacere ed è sempre documentatissimo. Non parla mai a vanvera e racconta i fatti con cognizione di causa. Conosce la storia degli Stati Uniti e i gli uomini chiave delle ultime amministrazioni americane come pochi. Ogni mattina quando sfoglio la Stampa leggo in genere per primo il suo pezzo e - una rarità nel panorama dei giornali di oggi - so di informarmi come si deve sull'argomento, senza alcuna faziosità.
Eppure il "Paese di Obama" non mi ha convinto, a cominciare dal titolo.
Il "Paese di Obama" è una realtà che ancora non esiste: il Presidente Usa non è nemmeno a metà del suo (primo) mandato e per il momento ha realizzato una minima parte dei sogni che hanno spinto milioni di americani a votarlo alle urne. L'America di Obama è una realtà in costruzione, un colossale work in progress.
Molinari lo sa e per questo motivo per la maggior parte del libro parla d'altro: l'attenzione è concentrata sulla cronaca della campagna elettorale che, città dopo città, Stato dopo Stato, ha portato Barack Obama prima a prevalere su Hillary Clinton alle primarie democratiche e poi a sconfiggere il repubblicano John McCain, diventando il primo Presidente di colore degli Stati Uniti.
Questo non è necessariamente un male, se non fosse che il "Paese di Obama" è uscito a ottobre 2009, un anno dopo l'elezione del presidente Usa.
Si tratta quindi di una pubblicazione fuori tempo massimo in tutti sensi: se Molinari voleva raccontare il successo elettorale dell'attuale Presidente, ripercorrendo le tappe e i luoghi della campagna dei democratici, avrebbe dovuto farlo mesi prima, quando Obama giurava davanti ai due milioni e rotti di persone stipate come sardine nel Mall di Washington D.C.
Se invece il corrispondente della Stampa intendeva scrivere una specie di preludio alle riforme della presidenza Obama, avrebbe dovuto aspettare: nel "Paese di Obama" infatti non c'è alcun cenno riguardo a eventi decisivi degli ultimi mesi come il braccio di ferro con l'Iran, la mancata chiusura di Guantanamo, il tentativo di cambiare la sanità del paese, la ripresa economica, le misure messe a punto dall'amministrazione per limitare i danni provocati dai titoli tossici di Wall Street, il rafforzamento delle truppe in Afghanistan, il Nobel per la Pace affibbiato a sorpresa al Presidente Usa.
Ecco perchè il "Paese di Obama" lascia l'amaro in bocca. Un vero peccato, considerando che a scrivere è un giornalista della caratura di Molinari.
0 commenti:
Posta un commento