AUSTIN TEA PARTY

against taxes


Il 15 aprile negli Stati Uniti è il tax day, la scadenza per gli americani per presentare la dichiarazione dei redditi. Quest'anno la Casa Bianca ha dovuto fare i conti con una serie di Tea Party, movimenti anti-tasse organizzati contemporaneamente in 750 città americane.

Tea Party Map


Si tratta di manifestazioni di protesta che prendono di mira le politiche fiscali e di spesa pubblica varate dall'amministrazione Obama per risollevare l'economia. Il riferimento è al Boston Tea Party del 1773, quando nella capitale del Massachusetts Samuel Adams e altri patrioti radicali gettarono in mare un carico di tè dalle navi inglesi. Questa rivolta contro le nuove tasse del Tea Act imposto dall'Inghilterra è considerata l'inizio della guerra di indipendenza degli Usa.

In alcuni Tea Party le rivendicazioni dei manifestanti hanno provocato un certo clamore e sono finite su tutti i giornali e siti web di informazione, facendo discutere politici e analisti.

Dal palco del Tea Party di Austin il governatore del Texas, Rick Perry, ha prima agitato lo spettro della secessione, infiammando la folla di sostenitori e ricompattando quel che resta del partito Repubblicano; poi ha invitato l'amministrazione Obama, accusata di tassare eccesivamente i cittadini americani, a rileggersi la Costituzione.

tea party1

"We're fed up", siamo stufi, ha ripetuto fino all'ossessione il governatore del Lone Star State, che qualche giorno fa si è rifiutato di incassare 550 milioni di aiuti federali al Texas stanziati da Washington dicendo "non voglio indebitare i miei nipoti".


Perry ha attaccato la gogna fiscale varata da Washington e ha citato Sam Houston, il settimo governatore dello stato e presidente della Repubblica del Texas nel decennio di indipendenza (1836-1846): "Egli una volta disse che il Texas deve ancora conoscere la sottomissione verso qualsiasi forma di oppressione. Sono daccordo con lui: non ci piaceva l'oppressione allora, non ci piace l'oppressione oggi".




Poi, incalzato dalle domande dei giornalisti, il governatore del Texas ha minacciato la secessione dagli Stati Uniti: "Siamo una grande Unione, non c'è ragione di scioglierci. Ma se gli ammnistratori di Washington continuano a infischiarsene dei cittadini americani chi lo sa che cosa può succedere. Il Texas è un posto unico e siamo sufficientemente indipendenti da prenderli a calci". Lo scenario immaginato da
Perry può mettere paura alla Casa Bianca: il Texas con 1,09 miliardi di dollari di prodotto interno lordo è l'asse portante dell'economia Usa.




Un diluvio di commenti e reazioni sono seguite al comizio di
Perry; in alcuni casi si tratta di riflessioni che analizzano a fondo il fenomeno dei Tea Party.

"Per molti di noi è difficile prendere sul serio - scrive Tobin Harshaw sulla rubrica "Opinionator" del New York Times - le parole del governatore del Texas. Tuttavia Perry ha affrontato uno dei temi dominanti della settimana, che ha visto uno dei più rabbiosi tax day degli ultimi anni".

Secondo Glenn Harland Reynolds, professore di diritto all'Università del Tennessee e titolare del blog Istapundit, i Tea Party sono una forma di organizzazione post-partitica resa possibile dal web: "Non c'è un partito politico dietro queste proteste, nessuna cospirazione della destra conservatrice. Si tratta - spiega Reynolds sul Wall Street Journal - di persone qualsiasi che non si conoscono tra di loro ma in grado di radunarsi velocemente grazie chat e social network. Una volta per portare centinaia di persone a manifestare serviva un coordinamento: un partito, un sindacato, una chiesa o qualsiasi altra struttura. Oggi le persone possono coordinarsi facilmente da sole".

Il primo raduno anti-tasse è stato organizzato il 16 febbraio da alcuni blogger di Seattle. Nel giro di 24 ore la protesta montava già oltre lo stato di Washington, tanto che a Denver, Colorado, e a Meriza, Arizona centinaia di persone sono scese in piazza coordinandosi attraverso il web.

"Colpisce il fatto - continua Reynolds - che la maggior parte degli organizzatori non ha mai coordinato o addirittura partecipato a raduni di protesta. Un sentimento di disgusto e insofferenza ha spinto molte persone a salire sul ring della politica e a pianificare le prossime mosse".

Ad esempio: Mike Wilson, organizzatore del Tea Party di Cincinnati, Ohio, ha affermato di voler creare un organismo politico permanente destinato a fare pressioni per ridurre le tasse e la spesa pubblica. In Arizona il coordinatore del Tea Party di Tucson, Robert Mayer, ha annunciato che il suo movimento si concentrerà sulle elezioni del consiglio municipale, previste per il prossimo autunno.

Il Partito Repubblicano, lacerato dalla sconfitta alle elezioni presidenziali, potrebbe trarre vantaggio da questo malcontento. Tuttavia, per il Grand Old Party si tratta di sfruttare al meglio la situazione: "Per i repubblicani, che arrancano nel tentativo di elaborare una vera alternativa alle politiche di Obama, la buona notizia - spiega Reynolds - è che migliaia di cittadini americani organizzano proteste per conto loro. Quella cattiva è che queste persone non sono necessariamente simpatizzanti per il Gop".


Lo prova il quanto avvenuto al Tea Party di Chicago: quando il presidente del comitato nazionale repubblicano,
Michael Steele, ha chiesto di parlare si è sentito rispondere picche dagli organizzatori, che preferiscono dar voce alla frustrazione di cittadini americani non eletti. Ancora, quando Gresham Barrett, membro del congresso eletto in South Carolina, è salito sul palco del Greenville Tea Party, è stato fischiato initerrottamente per tutta la durata del suo discorso.





Insomma, il 15 aprile un'iniezione di nuove idee e talenti ha rivitalizzato la politica degli Stati Uniti; sul tema qualche opinionista ha scatenato la propria immaginazione: "Dopo le presidenziali, i repubblicani sembrano zoppicanti e disorganizzati. Potrebbero - sostiene Reynolds - trovare terreno fertile dai Tea Party; oppure questi ultimi potrebbero rimpiazzare il Gop, esattamente come il Partito Repubblicano prese il posto dei Whig".

Di parere opposto è il blogger conservatore Andrew Sullivan della rivista The Atlantic. Secondo Sullivan, sostenitore di Obama in campagna elettorale, i Tea Party sono "manifestazioni teatrali di scarsa importanza", perchè "si schierano contro l'aumento della spesa pubblica senza suggerire come ridurla". Sullivan mette in discussione l'analisi di Reynolds apparsa nel Wall Street Journal. "Reynolds ha spiegato solo contro che cosa si sono rivolte questi movimenti, ma non quali proposte sono state messe sul tavolo per realizzare i propri obiettivi". Sullivan chiude il suo post sul Daily Dish con un affondo contro i repubblicani: "Fino a quando gli uomini della destra non dicono in modo costruttivo come intendono ridurre la spesa pubblica e l'indebitamento, meritano di essere licenziati come teatranti alla ricerca disperata di coerenza in un epoca che se li è lasciati alle spalle come disorientati".
Bookmark and Share

0 commenti:

Posta un commento

top