END TIMES?

dead end

La carta stampata è sull'orlo del precipizio e lo si sapeva. Sono anni che se ne parla.

Qualche opinionista nonostante tutto non è disposto a mettere in discussione l'idea di sfogliare ogni mattina il quotidiano acquistato in edicola o trovato sulla porta di casa.

Secondo questi analisti, i quotidiani non possono contare esclusivamente sulla propria edizione online: i ricavi della pubblicità sul web sono insufficienti a mandare avanti un giornale che non abbia come unica fonte i dispacci delle agenzie di stampa. Gli inserzionisti mirano a conquistare soprattutto il pubblico del quotidiano, che vale più o meno dieci volte il lettore del sito internet.

Se le vendite sono in calo da anni e se tante testate hanno problemi a fare quadrare i conti, dicono, la ragione sta nell'inadeguatezza dei giornalisti a raccontare il presente e a produrre contenuti, anche multimediali, che realmente interessino ai lettori.

Non solo: la gente continuerà comunque a preferire pagine "concrete", che può stringere tra le mani, piegare, sottolineare, ritagliare ed eventualmente riutilizzare il giorno dopo per incartare il pesce.

In questo modo si finisce per ripetere come un mantra la frase "è vero che internet ha cambiato il lavoro dei giornalisti, ma in fondo i giornali di carta non scompariranno mai".

Tutto ciò merita attenzione. Ma questa opinione non mette a fuoco i contorni della crisi che sta piegando le imprese editoriali di mezzo mondo.

La recessione economica ha dimostrato che ad essere in discussione non è il giornalismo in sé, né la domanda mondiale di informazione, quanto il modello di businness che c'è dietro ai quotidiani.

Sul banco degli imputati, per primo finisce proprio il sistema della carta. Della questione in Italia in genere non se ne parla più di tanto; ma alcuni articoli della stampa estera, ripubblicati da "Internazionale" di questa settimana, approfondiscono il punto.

  1. Secondo Walter Isaacson, storica firma di Time, i lettori sono sempre meno disposti a pagare per informarsi. Eppure, "C'è un paradosso in questa crisi: i giornali non hanno mai avuto così tanti lettori. I contenuti dei giornali e dei periodici - spiega Isaacson - sono più popolari che mai. Perfino, anzi soprattutto, tra i giovani". Per rispondere ai bisogni di un opinione pubblica assetata di notizie e per rovesciare il modello economico delle edizioni web dei quotidiani (che campano solo grazie alle inserzioni, salvo casi particolari come il Washington Post), Isaacson propone un sistema di micropagamenti via internet articolo per articolo. Un po' come avviene con Itunes per la musica.                                                                                                                                                                       Newspaper crisis
  2. Michael Hirschorn, opinionista di The Atlantic, prima mette sul piatto i numeri da brivido del bilancio del New York Times (400 milioni di dollari di debito), poi prevede la scomparsa del quotidiano dalle edicole. "Nel mese di ottobre il sito ha avuto 20 milioni di contatti, conquistando il quinto posto tra i siti di informazione per numero di visitatori. L'edizione cartacea vende invece un milione di copie al giorno, in continuo calo". Se New York Times si limitasse a pubblicare gratuitamente sul web i suoi contenuti tuttavia, non sarebbe in grado di produrre la stessa quantità (e qualità) di notizie, potendosi permettere "solo il 20% dei giornalisti che ha oggi". Soluzione: "Per guadagnare sul web, forse si comincerà a mescolare reportage originali e articoli di altre fonti autorevoli" in modo da poter "imporre il suo marchio senza dover necessariamente andare in ogni angolo del pianeta". In futuro, incalza Hirschorn, "il sito del New York Times somiglierà presto a una versione più grande e meno faziosa dell'Huffington Post (...): aggregazione di contenuti, tanti collaboratori e un'offerta sempre maggiore di articoli originali".
  3. Il guru del marketing Seth Godin sul suo blog scrive: "possiamo fare benissimo a meno di pasta di legno, rotative, tipografie, camion delle consegne, edicole". Infatti "le pagine sportive, recensioni di libri, spettacoli e ristoranti, meteo, supplementi domenicali sono meglio online". A chi paventa la scomparsa delle opinioni, Godin replica: "gli editoriali non scompariranno. Al contrario, la rete amplifica le idee brillanti. Resteranno le notizie locali, il giornalismo investigativo e la copertura delle notizie nazionali. Forse il 2% del costo di un giornale".

Accanto a queste considerazioni, negli ultime settimane in rete si sono diffuse una serie di notizie che offrono spunti per riflettere sulle innovazioni del mercato editoriale.
  • Usa Today, quotidiano edito da Gannet Corporation, ha annunciato che è in preparazione una versione per Kindle, il lettore elettronico creato da Amazon.com. Sono già state fissate le tariffe: 75 centesimi per la copia giornaliera, 12 dollari per l'abbonamento mensile.
  • Financial Times e Usa Today, saranno i primi quotidiani a realizzare contenuti per l'e-newspaper prodotto da Plastic Logic, che uscirà sul mercato l'anno prossimo.
  • Il 2 marzo nella rubrica web curata da Anna Masera, La Stampa di Torino ha annunciato il collaudo del formato e-book del quotidiano.
  • Il settimanale Time ha pubblicato una lista dei 10 più importanti giornali d'America sull'orlo della bancarotta. L'analisi è stata realizzata da Wall Street; "in base ad essa 8 tra i 50 più grandi quotidiani Usa rischiano di chiudere i battenti entro i prossimi 18 mesi", conclude amaramente Douglas A. McIntyre. Ad essere nei guai sono anche pezzi di storia del giornalismo americano, come Boston Globe, San Francisco Chronicle e Miami Herald. Queste testate si trovano a un bivio: ricorrere al Chapter 11 (la legge Usa che disciplina l'amministrazione controllata) o sperare nell'edizione solo online.
  • Sul sito del Wall Street Journal, Sarah E. Needleman afferma che i datori di lavoro in futuro potrebbero trovare sempre meno conveniente comprare spazio nei giornali per le inserzioni di lavoro, e rivolgersi sempre più a motori di ricerca come Google o Yahoo. "Lo scorso marzo - racconta Needleman - Baylor Health Care System, importante organizzazione no-profit con sede a Dallas, ha comprato alcune parole chiave (per le offerte di lavoro, come "infermiera", "ragioniere", da inserire accanto ai risultati della ricerca ndr) su Google, Yahoo e altri motori di ricerca (...). Nei primi sei mesi del programma, secondo Eileen Bouthillet, responsabile del settore comunicazione e risorse umane alla Baylor, i motori di ricerca hanno generato 5.250 richieste di lavoro a un costo medio di 4 dollari. Invece, Baylor ha sborsato (...) in media 750 dollari per le 215 persone che hanno risposto alle offerte di lavoro pubblicate in riviste o giornali". "Di conseguenza - conclude Bouthillet - Baylor ha ridotto le spese per le offerte di lavoro sui quotidiani e magazine". Sull'argomento Jeff Jarvis ,professore di giornalismo all'Università di New York e opinionista del Guardian, sul suo blog BuzzMachine.com va giù pari: "Se questo è vero per il mercato delle inserzioni di lavoro, lo sarà anche per altre categorie. Inclusa l'ultima speranza dei giornali: i rivenditori al dettaglio. (...) Google ha il modo di servire i piccoli inserzionisti locali, in passato mai considerati dai quotidiani. I giornali, no. La carta stampata è sempre stata poco efficiente; ora lo stanno scoprendo anche gli inserzionisti, mano a mano che il web lo diventa sempre più. Ecco un'altra ragione per lasciar perdere ora la stampa".
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