LA CRISI COLPISCE LA PUBBLICITA'

La crisi non guarda in faccia nessuno, neanche la pubblicità. Secondo le analisi di quotidiani come Milano Finanza, il Sole 24 Ore e Financial Times, la recessione economica costringerà le imprese di tutto il mondo a spendere complessivamente di meno per farsi pubblicità. Risultato: le aziende editoriali dovranno tirare la cinghia.

In Italia, le stime fornite da Nielsen Media Research monitorano le migliaia di euro spese per inserzioni nei media. 

In base ai dati riferiti al periodo gennaio-ottobre 2008, gli investimenti netti pubblicitari sono calati dello 0,8% rispetto agli stessi mesi del 2007. 

Un mese fa Rcs ha annunciato che, a causa della contrazione dei ricavi pubblicitari, a luglio rivedrà il piano triennale. E’un segno del cambiamento in corso nell’editoria; nel dettaglio i dati Nielsen destano preoccupazioni e speranze. 

Nel 2009 probabilmente sarà la carta stampata a soffrire; le testate disporranno di minori introiti per i tagli dello scorso anno nella pubblicità: cento milioni in meno per i quotidiani a pagamento (-4,9% rispetto al 2007), sessanta per i periodici (-5,6%). 

Numeri su cui riflettere, considerando che le risorse di un giornale derivano dalle vendite (da anni in calo continuo), dai “collaterali” – dvd, cd, guide turistiche ecc. – allegati e dalla pubblicità. Luigi Einaudi, che amava definire “il giornale come vendita di notizie e avvisi”, aveva intuito tutto. 

Pochi scossoni invece per la televisione, dove da sempre girano più soldi: qui l’aumento di proventi dalle inserzioni è inferiore a 30 milioni (variazione di 0,7%). Bene la radio, che può contare del 4,4% di investimenti in più. Meglio ancora il web: internet attira flussi di denaro da doppia cifra: l’aumento è del 18,5%. 

Molti analisti pensano che la rete sia la salvezza del sistema editoriale; questo medium, ancora giovane, muove però risorse non paragonabili con tv e stampa.

La flessione del mercato pubblicitario non è un affare solo italiano: secondo il Sole24Ore, negli Stati Uniti colossi come General Motors hanno dimezzato le risorse vincolate nel settore. Le imprese editoriali, al netto degli investimenti pubblicitari, hanno messo in campo strategie diverse per fare i conti con la recessione. 

Anche perchè “il calo delle inserzioni in Nord America e nell’Europa occidentale – si legge in Milano Finanza – sarà compensato dalla continua crescita dei mercati emergenti, come India, Cina e Brasile”. 

In Francia il Presidente Nicolas Sarkozy, ha avviato un progetto per reinventare il servizio pubblico: da lunedì 5 gennaio, nonostante la crisi, zero spot sui canali France1, France2 e France3 (la tv di stato) a partire dalle 20.35 fino alle sei di mattina; la scomparsa totale della pubblicità è fissata per il 2012. Per evitare un dissesto nelle casse dello stato, questa mossa è stata bilanciata giorni dopo in senato con un emendamento, che fissa un canone per i possessori di un cellulare 3G o un computer in grado di ricevere il segnale; la riforma voluta dall’Eliseo, accolta dai giornalisti con scioperi e manifestazioni, ha in ogni caso portata rivoluzionaria. 


new_york times


Al contrario, in Italia nei giorni scorsi si è visto un segnale in contrasto con il crollo negli investimenti pubblicitari: la decisione di imprese, come Enel, Telecom e Sisal, di stanziare fondi per acquistare una banda laterale e una striscia con i colori dell’azienda tra la testata e i titoli in prima pagina del Corriere della Sera

Sempre sul Corriere, Audi qualche settimana fa, ha comprato ben 16 pagine interne per ricoprirle di inserzioni. Segnali positivi ma insufficienti per risollevare la curva degli investimenti.

Resta da capire se le ripercussioni della crisi nel mercato pubblicitario, incideranno sul lavoro dei giornalisti; meno risorse a disposizione potrebbero alterare la fattura del giornale. 

“Gli editori – osserva Roberto Natale, presidente della Federazione nazionale della stampa – oggi possono parlare in maniera credibile di crisi, che oggettivamente c’è”. Poi la stoccata: “Si tratta comunque di un fenomeno recente. Non giustifica le scelte sbagliate del passato, quando le aziende editoriali facevano utili. Gli editori hanno preferito distribuirli ai propri azionisti piuttosto che migliorare la qualità del prodotto giornalistico”.
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