Ho deciso di dedicare un post a Gabriele Ferraris della "Stampa", autore dell'articolo che più mi ha impressionato questa estate. Il pezzo è apparso il 7 agosto nella prima pagina del quotidiano di Torino.
Confesso: l'ho letto e riletto più volte.
BASTA CON WOODSTOCK, FINALMENTE - GABRIELE FERRARIS
Sono passati quarant’anni. Ma nessun li celebrerà. Il mancato concerto-memorial di Woodstock - non ci sono gli sponsor, ed era ora! - segna la fine di un Mito Rock e l’inizio della fine del Rock. Come ognuno ben sa, dal 15 al 18 agosto del 1969, in una località chiamata Bethel, nello Stato di New York, si tenne un raduno musicale che generò un film, due album, e tre equivoci.
I primi due equivoci erano ridicoli: il raduno fu infatti ricordato non come Festival di Bethel, ma di Woodstock; e con lo slogan «tre giorni di pace, amore & musica» benché a rigor di matematica i giorni fossero quattro - Hendrix suonò a festival finito, la mattina di lunedì 18.
Ben più gravido di seccanti conseguenze fu il terzo equivoco: la generazione che era giovane in quell’agosto 1969 si convinse che sarebbe rimasta giovane per sempre e con il diritto divino di stressare l’anima a chi sarebbe stato giovane dopo, spacciando il proprio mito generazionale per Mito Generazionale assoluto, buono per ogni generazione a venire.
L’equivoco ha retto a lungo poiché quella supponente generazione, dopo aver sognato Pace, Amore & Musica per pochi mesi, ha praticato Potere, Profitto & Inamovibilità per infiniti anni: e - come ogni altra Classe Dirigente della Storia, dai Caldei ad oggi - ha celebrato, forte di una spocchiosa prevalenza economica e culturale, il proprio Mito fondativo.
Dal che concerti, rievocazioni, film, libri, articoli e altre banali nefandezze in memoriam, imposte a nuove generazioni sempre più distratte, sempre più indifferenti al Mito imposto a mezzo mass-media.
Poi, finalmente, è arrivata la generazione capace di gridare il liberatorio «Di Woodstock non me ne frega una mazza!», se solo sapesse che cos’è Woodstock.
Ma per i quattordicenni di oggi - per quelli più acculturati, intendo - Woodstock è l’uccellino amico di Snoopy. E basta.
Non sanno chi siano «gli eroi di Woodstock», non più di quanto non sappiano chi siano gli eroi dei Mille, del Piave, della Guerra d’Etiopia e pure - diciamocelo francamente - della Resistenza.
Nell’iPod non hanno Joan Baez, né Joe Cocker, né gli Who: qualcuno ha sentito parlare - dai padri - di Hendrix, ma per carità non domandategli di più.
Hanno altri miti, senza la maiuscola, però loro: e se mai leggeranno questo articolo, si domanderanno perché un vecchio sprechi un po’ dello scarso tempo che gli resta per dare rilievo a una Non Notizia, ovvero che nessun concerto celebrerà il Quarantennale di Woodstock.
Così come non spargeranno una lacrima se chiude «il glorioso Rolling Stone» (e perché mai glorioso? E perché Rolling Stone?), né chiederanno chi erano i Beatles. Erano roba dei tempi dei padri e dei nonni. Come per noi - per la generazione di Woodstock - l’impresa dei Mille, il Piave, la Guerra d’Etiopia e la Resistenza.
Miti Generazionali. Ma di altre generazioni. Che passano, come passano, prima o poi, i loro monumenti. Cenere alla cenere, polvere alla polvere.
posted by
Luca
at
2:45:00 AM
Etichette:
bethel,
festival,
gabriele ferraris,
hendrix,
joan baez,
joe cocker,
la stampa,
woodstock
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
3 commenti:
Ci sarebbe molto da dire, in molti ambiti. Mi limito all'essenziale:
1) quando un articolo è astioso, si vede: "non ci sono gli sponsor, ed era ora! ". Se astioso, diventa meno credibile.
2) certo che "i miti passano", accade sempre, che siano generazionali o meno. Ultimamente sembra proprio stia passando il mito della crescita infinita, è già passato quello del progresso.. allora, dov'é la novità?
3) Non bisogna fare l'errore di credere che perché un evento non venga più celebrato, se ne perda completamente la memoria, e soprattutto, il lascito (un pezzo fondamentale della cultura del '900). Nè tantomeno, che perda la sua importanza nella fase storica in cui è collocato. Piaccia o meno, è - e rimane - un evento centrale, se si vogliono raccontare, il rock, da un lato (e qui ci sarebbe tanto da dire...), gli anni '60 dall'altro. Come rimane centrale la marcia su Roma. E così via. Ah, non ci sono più neanche i soldi per andare sulla luna, figuriamoci per Woodstock...
ogni tanto ho l'impressione che appena senti odore di bruciato, di feltri, di libero, di 'finiamola con queste merdate da benpensante di sinistra', ti esalti a piu' non posso. con un rischio (che e' quello in cui cade l'autore dell'articolo): che per combattere la retorica dei nostalgici politically correct si cada un'altra retorica, quella dell'uomo comune e incazzato, della casalinga rozza e impegnata nel sociale, della sguaiatezza da talk show televisivo per cui un sano pragmatismo vale piu' di mille ciance inutili.
che il vecchio hippysmo si sia trasformato in una serie di vegetali individualisti o in yuppie incravattati che mangiano in piedi nelle city delle varie metropoli non e' una grande novita'. che il 'pace amore e musica' siano delle grandi parole e poco piu' neanche. cosa c'era allora in woodstock di cosi' speciale e importante? che vale la pena di conservare e far rivivere con una testimonianza quotidiana? una cosa: la musica. una musica fantastica, degli interpreti eccezionali, arte nel vero senso della parola che per una volta s'e' fatta portavoce di una collettivita' speranzosa e zingara. che quella musica l'ascoltava, la prestava, la viveva, day after day.
insomma che nessuno conosca i beatles e' grave. e poi e' una gran balla. perche' i beatles, come dante, caravaggio, manzoni e montale, nonostante tutto, rimangono.
@ Luca
Ho apprezzato il pezzo di Gabriele Ferraris perchè ha il merito di dire le cose come stanno. Non capisco cosa ci sia di retorico nelle sue parole, che per me non puzzano affatto "di bruciato, di Feltri o di Libero". Contrariamente a quello che tu vuoi a tutti i costi pensare di me, non mi esalto a constatare che quasi nessuno sa più cosa è significato Woodstock e la sua musica. I dischi dei Beatles li ho e li ascolto con piacere.
Mi esalto però quando leggo un articolo come questo nei giornali. Perché dice cose che pochi scrivono e con nettezza. Perché prende atto della realtà piuttosto che far finta di non vederla.
Posta un commento