Questo blog non solo è un contenitore di pezzi scritti durante gli stage. Qui si parla soprattutto di fatti e persone che hanno colpito l'attenzione del titolare. Al punto da avergli fatto sprecare qualche minuto per riportarli nel modo meno noioso possibile.
Video, decine di video sulla guerra nella Striscia di Gaza. Nel web, a disposizione di chiunque, per qualsiasi utilizzo, anche commerciale. Purché sia chiara la fonte: la televisione satellitare araba Al Jazeera.
L’emittente da pochi giorni ha deciso di mettere sul suo sito internet i video sugli eventi di Gaza: è il Creative Commons Repository, un archivio di servizi liberamente utilizzabili e modificabili dagli utenti e anche della concorrenza. Una mossa mai tentata da nessun grande network. O quasi.
“I servizi prodotti dai corrispondenti [di Al Jazeera] nella Striscia – recita il comunicato dell'emittente di Doha – possono essere scaricati, condivisi, mixati e sottotitolati da bloggers, documentaristi e media di tutto il mondo, anche per uso commerciale”. I video durano dai 10 ai 16 minuti, sono in formato mpeg4 e rappresentano una cronaca giorno per giorno del recente conflitto palestinese: i cronisti si muovono in mezzo a case distrutte, parlano con la gente, osservano i dettagli. Qualche esempio:
• Un’ambulanza arriva a sirene spiegate, i medici sollevano la barella e tirano fuori un uomo con le caviglie coperte di sangue e un osso che esce dal piede.
• Non lontano in quel che resta dell’ospedale un bambino strilla e dimena le gambe. La pelle è ridotta a brandelli e ustionata dall’avambraccio fino al viso.
La rivoluzione dei giornali inizia nell’ex-Germania dell’est. A Dresda è in produzione l’e-newspaper pieghevole che sarà commercializzato a inizio 2009: un’edicola elettronica tascabile che potrebbe assestare il colpo di grazia al sistema tradizionale dell’informazione.
“Paper or plastic” è il titolo di un video messo online dalla Cnn.
Si apre con la nube di polvere e terriccio sollevata dal crollo di un abete, tagliato alla base da una motosega.
“Quattro miliardi – commenta la voce fuori campo di Fred Pleitgen, cronista della Cnn - è la stima di quanti alberi sono abbattuti ogni anno per creare carta”. Si può guardare il filmato nella homepage di Plastic Logic, azienda specializzata in transistor a polimeri, fondata da un gruppo di scienziati dell’università di Cambridge, Inghilterra.
Si tratta di un foglio di plastica formato A4, flessibile e pesante meno di mezzo chilo. Il dispositivo è dotato di memoria per immagazzinare migliaia di pagine di riviste, giornali, libri scaricate dal computer di casa o via Wi-Fi. Il display visualizza caratteri scritti in e-ink (inchiostro elettronico), ed è touch-screen: si passa da una pagina all’altra toccando lo schermo.
In commercio si trova anche il lettore E-reader della Sony o il Kindle realizzato da Amazon.com; ma a differenza dei concorrenti (pensati più come e-book), l’e-newspaper prodotto in Germania ha uno schermo in plastica e non in vetro, grande più del doppio, che lo fa sembrare in tutto una riproduzione di un quotidiano o di un foglio stampato dalla fotocopiatrice. Zero retroilluminazione (lo si può “sfogliare” ovunque, anche al sole), supporto dei formati più usati in ufficio (word, excel, power point, pdf) durata della batteria anche di due settimane.
“Vedevamo il nostro prodotto – ammette Richard Archuleta, numero uno di Plastic Logic – più per la lettura di documenti; ma quello che vogliono tutti, è la possibilità di scaricare e leggere ovunque, in ogni momento della giornata, la mazzetta dei giornali”.
Secondo gli analisti dei media l’e-newspaper cancellerà i quotidiani di carta. In Italia, si dovrà fare i conti con un livello tecnologico diverso dagli Usa.
Per Robert Cauthorn, ex-direttore di StarNet (una delle prime testate online), “un libro stampato avrà sempre senso, perché potrà essere letto più volte. Ma la carta non offre vantaggi per un giornale: bisogna abbattere alberi, trasportarli, trasformarli in carta che viene avvolta nelle bobine, per essere portata negli impianti di stampa. Nelle rotative i giornali vengono stampati, impachettati, caricati su camion e scaricati nei punti vendita. I consumatori li acquistano, li leggono e dopo qualche ora li buttano. Altri camion li vanno a prendere per inviarli, nel migliore dei casi, in un impianto di riciclaggio.
Questo processo è uno sperpero di energia e non più ecosostenibile”. “Il foglio elettronico – spiega Marco Pratellesi, responsabile di Corriere.it – per imporsi dovrà avere un’interfaccia intuitiva, oltre a essere economicamente vantaggioso per produttori e utenti. Ci vorrà tempo, ma siamo di fronte a un modello auspicabile di business: il giornalismo non è stampare le notizie ma produrle”.
“Se l’e-newspaper avrà successo, potremo risparmiare tanto. Al San Francisco Chronicle – racconta Bronfin – stampa e distribuzione rappresentano il 65 per cento delle spese fisse”.
Gli introiti principali di ogni testata vengono dalla pubblicità: nel caso dell’e-newspaper, “gli inserzionisti – svela Eric A. Taub del New York Times – potrebbero fare a gara per accaparrarsi spazio virtuale. Si tratta in fondo di un dispositivo elettronico; esso potrebbe riconoscere chi sta leggendo il giornale e su quali articoli si sta soffermando. I pubblicitari riuscirebbero a capire meglio il loro pubblico, e ad indirizzare le inserzioni ai clienti più probabili”.
Resta da chiedersi quanto i consumatori siano disposti a pagare per il foglio elettronico ed eventuali abbonamenti alle notizie in tempo reale.
“Abbiamo abituato una generazione di lettori – ricorda Taub – a ricevere le informazioni di cui ha bisogno senza spendere nulla, dalle edizioni online dei giornali”.
“I quotidiani – osserva Pratellesi – si salveranno se gli editori investiranno le risorse liberate da questa innovazione per tenere alta la qualità del giornale. Per la quale spenderanno anche i ragazzi della Nintendo Generation, cresciuti tra videogiochi e computer”.
La crisi non guarda in faccia nessuno, neanche la pubblicità. Secondo le analisi di quotidiani come Milano Finanza, il Sole 24 Ore e Financial Times, la recessione economica costringerà le imprese di tutto il mondo a spendere complessivamente di meno per farsi pubblicità. Risultato: le aziende editoriali dovranno tirare la cinghia.
In base ai dati riferiti al periodo gennaio-ottobre 2008, gli investimenti netti pubblicitari sono calati dello 0,8% rispetto agli stessi mesi del 2007.
Nel 2009 probabilmente sarà la carta stampata a soffrire; le testate disporranno di minori introiti per i tagli dello scorso anno nella pubblicità: cento milioni in meno per i quotidiani a pagamento (-4,9% rispetto al 2007), sessanta per i periodici (-5,6%).
Numeri su cui riflettere, considerando che le risorse di un giornale derivano dalle vendite (da anni in calo continuo), dai “collaterali” – dvd, cd, guide turistiche ecc. – allegati e dalla pubblicità. Luigi Einaudi, che amava definire “il giornale come vendita di notizie e avvisi”, aveva intuito tutto.
Pochi scossoni invece per la televisione, dove da sempre girano più soldi: qui l’aumento di proventi dalle inserzioni è inferiore a 30 milioni (variazione di 0,7%). Bene la radio, che può contare del 4,4% di investimenti in più. Meglio ancora il web: internet attira flussi di denaro da doppia cifra: l’aumento è del 18,5%.
Molti analisti pensano che la rete sia la salvezza del sistema editoriale; questo medium, ancora giovane, muove però risorse non paragonabili con tv e stampa.
La flessione del mercato pubblicitario non è un affare solo italiano: secondo il Sole24Ore, negli Stati Uniti colossi come General Motors hanno dimezzato le risorse vincolate nel settore. Le imprese editoriali, al netto degli investimenti pubblicitari, hanno messo in campo strategie diverse per fare i conti con la recessione.
Anche perchè “il calo delle inserzioni in Nord America e nell’Europa occidentale – si legge in Milano Finanza – sarà compensato dalla continua crescita dei mercati emergenti, come India, Cina e Brasile”.
In Francia il Presidente Nicolas Sarkozy, ha avviato un progetto per reinventare il servizio pubblico: da lunedì 5 gennaio, nonostante la crisi, zero spot sui canali France1, France2 e France3 (la tv di stato) a partire dalle 20.35 fino alle sei di mattina; la scomparsa totale della pubblicità è fissata per il 2012. Per evitare un dissesto nelle casse dello stato, questa mossa è stata bilanciata giorni dopo in senato con un emendamento, che fissa un canone per i possessori di un cellulare 3G o un computer in grado di ricevere il segnale; la riforma voluta dall’Eliseo, accolta dai giornalisti con scioperi e manifestazioni, ha in ogni caso portata rivoluzionaria.
Al contrario, in Italia nei giorni scorsi si è visto un segnale in contrasto con il crollo negli investimenti pubblicitari: la decisione di imprese, come Enel, Telecom e Sisal, di stanziare fondi per acquistare una banda laterale e una striscia con i colori dell’azienda tra la testata e i titoli in prima pagina del Corriere della Sera.
Sempre sul Corriere, Audi qualche settimana fa, ha comprato ben 16 pagine interne per ricoprirle di inserzioni. Segnali positivi ma insufficienti per risollevare la curva degli investimenti.
Resta da capire se le ripercussioni della crisi nel mercato pubblicitario, incideranno sul lavoro dei giornalisti; meno risorse a disposizione potrebbero alterare la fattura del giornale.
“Gli editori – osserva Roberto Natale, presidente della Federazione nazionale della stampa – oggi possono parlare in maniera credibile di crisi, che oggettivamente c’è”. Poi la stoccata: “Si tratta comunque di un fenomeno recente. Non giustifica le scelte sbagliate del passato, quando le aziende editoriali facevano utili. Gli editori hanno preferito distribuirli ai propri azionisti piuttosto che migliorare la qualità del prodotto giornalistico”.